Qualora un correntista, vittima di una frode informatica, disconosca
un’operazione di bonifico effettuata sul proprio conto corrente,
incombe sulla banca l’onere di provare non solo di avere adottato
tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio, ma anche
la riconducibilità dell’operazione al cliente.
Sono sempre più frequenti le ipotesi di phishing, ovvero una truffa
online attraverso la quale un malintenzionato, attraverso una finta
comunicazione digitale, cerca di ingannare la vittima convincendola a
fornire informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso,
fingendosi un ente affidabile.
Nel momento in cui siamo stati vittima di questo tipo di truffa è
necessario disconoscere immediatamente l’operazione contabile di
addebito delle somme sul conto corrente.
Infatti, vige un obbligo contrattuale della banca di garantire e
tutelare i clienti dalle frodi informatiche, essendo gli stessi
responsabili della custodia e dell’utilizzo corretto di tutti i propri
dati identificativi e dei dispositivi per l’accesso al servizio
online.
A nulla vale la dimostrazione che banca provi di essersi munita di un
adeguato sistema di sicurezza tale da impedire l’accesso ai dati
personali del correntista da parte di terzi.
In tema di responsabilità della banca per operazioni effettuate a
mezzo di strumenti elettronici, deve ricondursi nell’area del rischio
professionale del prestatore dei servizi di pagamento – prevedibile ed
evitabile con appropriate misure destinate a verificare la
riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente – la
possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da
parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a
comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in
anticipo.
Questo anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella
sicurezza del sistema che peraltro, rappresenta interesse degli stessi
operatori bancari.
Tale importante principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di
Cassazione con l’ordinanza n. 9158/18, depositata il 12 aprile, con la
quale si ribadisce che la banca – cui è richiesta una diligenza di
natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell’accorto banchiere –
è tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al
cliente.
Si conferma , quindi, l’ orientamento già espresso con sentenza del 3
febbraio 2017, n. 2950, secondo cui: «in tema di responsabilità della
banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti
elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella
sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi
operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio
professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed
evitabile con appropriate misure destinate a verificare la
riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la
possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da
parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a
comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in
anticipo. Ne consegue che, anche prima dell’entrata in vigore del
d.lgs. n. 11 del 2010, attuativo della direttiva n. 2007/64/CE
relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, la banca, cui è
richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il
parametro dell’accorto banchiere, è tenuta a fornire la prova della
riconducibilità dell’operazione al cliente».
In argomento vedasi anche Cass. 23 maggio 2016, n. 10638, ove
precisato che: «in punto di ripartizione delle responsabilità
derivanti dall’utilizzazione del servizio, il d.lgs. 27 gennaio 2010,
n. 11, agli artt. 10 e 11, prevede che, qualora l’utente neghi di aver
autorizzato un’operazione di pagamento già effettuata, l’onere di
provare la genuinità della transazione ricade essenzialmente sul
prestatore del servizio. E nel contempo obbliga quest’ultimo a
rifondere con sostanziale immediatezza il correntista in caso di
operazione disconosciuta, tranne ove vi sia un motivato sospetto di
frode, e salva naturalmente la possibilità per il prestatore di
servizi di pagamento di dimostrare anche in un momento successivo che
l’operazione di pagamento era stata autorizzata, con consequenziale
diritto di chiedere e ottenere, in tal caso, dall’utilizzatore, la
restituzione dell’importo rimborsato».