Quando ci rechiamo al supermercato , dal fruttivendolo , dal salumiere , dal panettiere o dal pescivendolo, confidiamo che la merce che acquistiamo sia di buona qualità nutrizionale ed igienicamente sicura.
Purtroppo , al giorno d’oggi , la vendita di prodotti che hanno delle indicazioni del luogo di produzione e confezionamento diverse da quelle reali (si pensi all’apposizione sul confezionamento di un prodotto industriale del marchio “CE” contraffatto) o di prodotti alimentari surgelati venduti come freschi , è un fenomeno abbastanza frequente che danneggia il consumatore .
Ebbene, in questi casi, non si può parlare di un’alterazione delle qualità dell’alimento tale da renderlo nocivo, ma di un illecito profitto a danno del consumatore , che costituisce, in ogni caso, un reato punibile dalla legge.
Infatti, la vendita di prodotti non conformi alla legge costituisce il reato di frode in commercio il quale, ai sensi dell’art. 515 c.p. , consiste nella consegna all’acquirente di una cosa per un’altra o nella vendita di prodotti che per origine, provenienza, qualità o quantità sono diversi da quelli dichiarati o pattuiti.
Per configurare una frode in commercio , d’altronde , non è necessario alterare la qualità dell’alimento al punto da renderlo nocivo, ma basta solo una piccola differenza circa l’origine del prodotto o sulla provenienza ( ad esempio olio dichiarato come o prodotto e imbottigliato presso gli stabilimenti di un’ impresa agricola, mentre in realtà avvenuto presso un’altra azienda) o sul sistema di preparazione (ad esempio carni equine vendute in presenza di una percentuale di lardo suino senza che tale circostanza sia menzionata nella confezione) , o sulla quantità (ad esempio quando il negoziante pesa furbescamente il prodotto senza sottrarre la tara dell’imballaggio).
Tale reato può essere commesso sia da parte dei titolari e legali rappresentanti pro tempore di imprese commerciali , ed inoltre, anche dai dipendenti, commessi , dal collaboratore del titolare del negozio e, persino dai familiari del titolare, purché nell’ambito dell’esercizio di un’attività commerciale o in qualsiasi luogo abitualmente destinato alla messa in vendita di merci.
Anzi , molto spesso, nei tribunali si è riconosciuta la punibilità di soggetti che, pur non esercitando attività commerciale, abbiano occasionalmente venduto dei prodotti non conformi come, ad esempio, l’agricoltore che , al bordo della strada , vende prodotti come provenienti della propria campagna ma che in realtà non lo sono.
Affinché avvenga la contestazione del reato è sufficiente non solo la consegna materiale della cosa al compratore, ma basta anche la mera consegna del documento che la rappresenta (lettera di vettura, polizza di pegno): la semplice messa in vendita di un bene, senza che venga materialmente trasferito all’acquirente (ad esempio il deposito in magazzino della merce destinata alla vendita avente differenti caratteristiche rispetto a quelle pattuite), potrebbe far rispondere il venditore solamente di tentativo di frode nell’esercizio del commercio e non più del reato consumato.
Ad esempio , può integrare il tentativo di frode in commercio la condotta dell’esercente che esponga sui banchi o comunque offra al pubblico prodotti alimentari scaduti, sulle cui confezioni sia stata alterata o sostituita l’originale indicazione del termine minimo di conservazione.
In ogni caso, la denuncia può scattare anche se l’acquirente non abbia subito un danno economico in conseguenza della merce consegnata , come nel caso in cui essa fosse diversa e di maggior valore rispetto a quella chiesta .
Il reato di cui all’art. 515 c.p. è perseguibile d’ufficio : ciò vuol dire che è possibile denunciare il fatto alle autorità competenti anche oltre i termini stabiliti dalla legge ed è prevista una punizione per il venditore, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con multa fino a 2.065 euro.