Il D.L. n. 69/2013 (c.d. Decreto del Fare), convertito con modificazioni nella L. n. 98/2013, ha reintrodotto l’obbligatorietà della mediazione civile e commerciale per le materie di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 ovvero anche per le controversie condominiali, in conformità all’art.71 quater delle disposizioni di attuazione del codice civile, norma già introdotta con la riforma della materia condominiale dalla L. 220/2012.
Quest’ultimo articolo, nel definire le controversie condominiali, fa riferimento non solo a tutto il capo II del Titolo VII del Libro secondo ma anche agli articoli 61-72 delle disposizione attuative del c.c. e, quindi, nelle controversie oggetto di mediazione sono ricomprese, oltre ai contrasti sulle parti comuni del condominio, le questioni relative alla responsabilità dell’amministratore (1130-1133 c.c.), l’impugnazione delle delibere assembleari, la riscossione dei contributi (art. 63 disp. att. c.c.), l’infrazione dei regolamenti (art. 70 disp. att. c.c.), la modifica delle tabelle (art. 69 disp. att. c.c.).
Rimangono fuori dall’obbligatorietà della mediazione i giudizi cautelari, le vertenze possessorie, i procedimenti per convalida di licenza o sfratto dei locali condominiali, i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi ad esecuzione forzata.
Tuttavia, lo strumento della mediazione applicato a questo campo, si scontra inevitabilmente con le peculiarità relative alla natura giuridica del condominio.
Infatti, il codice civile, pur disciplinando le parti comuni e le modalità pratiche di gestione delle stesse, manca nel dare una definizione espressa di condominio, portando così gli operatori del diritto ad applicare analogicamente norme previste per altri settori.
Né l’auspicato riordino della materia condominiale ha posto definitivamente fine alle conflittualità normative e giurisprudenziali che, nel tempo, si sono venute a formare ma, al contrario, prendendole piè pari e trasportandole nella riforma, ha reso la semplificazione della materia scritta un’altra occasione persa da parte del legislatore.
Una cosa, però, è certa: il condominio è un centro d’imputazione di rapporti giuridici autonomo e distinto rispetto ai suoi partecipanti che vengono, ai sensi dell’art. 1131 c.c, rappresentati dalla figura dell’amministratore.
Il rapporto intercorrente tra amministratore e condominio è quindi assimilabile – pur con i distinguo del caso – al mandato con rappresentanza dato che, se da un lato vi è il conferimento di un incarico da parte dell’assemblea dall’altro l’amministratore svolge la propria attività in nome e per conto del condominio nella cui sfera giuridica si produrranno successivamente i risultati.
Se il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei condomìni ne consegue che, la figura dell’amministratore non possa privare i condomìni dalla facoltà di agire in giudizio in quanto la facoltà di transigere è atto eccedente l’ordinaria amministrazione e non può essere conferita automaticamente all’amministratore.
Ciò si proietta in modo chiaro anche sulla procedura di mediazione in quanto:
a) l’amministratore del condominio per procedere in mediazione dovrà essere autorizzato dall’assemblea dei condomini presenti in maggioranza ed almeno 500 millesimi;
b) prima dell’inizio del procedimento di mediazione l’ amministratore dovrà tempestivamente convocare l’assemblea la quale, a maggioranza, delibererà se iniziare il procedimento di mediazione o meno, nonché la condotta da tenere in sede di mediazione ed il conferimento di un eventuale mandato ad un avvocato per l’assistenza e la consulenza;
c) se il condominio delibera sulla partecipazione alla mediazione, la proposta raggiunta in tale sede non potrà essere direttamente sottoscritta dall’amministratore ma dovrà essere successivamente oggetto di una delibera assembleare – appositamente convocata – con la maggioranza dei presenti ed almeno 500 millesimi ai sensi dell’art.71 quater 5° comma.
Questi numerosi rinvii, necessari per poter conferire all’assemblea e recepirne la volontà da parte dell’amministratore, comportano, a mio avviso, un pregiudizio in termini di tempo per l’espletamento del procedimento di mediazione, a causa di una sostanziale reiterazione delle convocazioni condominiali, facendo così insorgere il serio rischio di uno spostamento sine die delle sedute di mediazione in attesa della deliberazione assembleare.
Naturalmente, ove la proposta da parte del mediatore non venisse accolta da parte dell’assemblea dei condomini, questa circostanza potrebbe incidere nel corso di un eventuale giudizio di merito relativamente alla condanna sulle spese processuali – nonché al pagamento del contributo unificato ed al pagamento dell’indennità spettante al mediatore – nel caso in cui il provvedimento del giudice dovesse corrispondere interamente al contenuto della proposta conciliativa.
Infine, per quanto riguarda la competenza territoriale, la riforma ha previsto che “la domanda di mediazione debba essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato”. Tale scelta è conforme anche al dettato normativo previsto dall’art. 23 c.p.c. il quale prevede che, per le “cause tra condomini” sia competente “il giudice del luogo dove si trovano i beni comuni”.
In ogni caso, onde evitare difficoltà operative, è possibile derogare – con il consenso di tutte le parti, del mediatore, del responsabile dell’organismo – il luogo ove si svolge la mediazione all’insegna della massima flessibilità e nell’interesse della volontà dei contendenti.
Concludendo, ritengo opportuno sottolineare che solamente le statistiche degli organismi di mediazione potranno dirci quale sarà l’impatto della reintroduzione dell’obbligatorietà della mediazione sulle liti condominiali e se, finalmente, la mediazione sarà quell’opportunità per la tutela dei diritti e l’accesso alla giustizia dei cittadini che vivono in condominio.