Il protesto per mancato pagamento dei titoli di credito (ovvero la cambiale, l’assegno, le azioni e obbligazioni, i titoli del debito pubblico) riguarda la constatazione effettuata per atto pubblico ad opera di pubblico ufficiale autorizzato (notaio, ufficiale giudiziario, il segretario comunale la cui competenza è però sussidiaria) che accerta il mancato pagamento o il rifiuto dell’accettazione.
Esso può elevarsi con un solo atto ai sensi degli artt. 68 l. camb. e 60 l. ass. tuttavia può elevarsi con atto separato (facendone menzione sul titolo) oppure può essere scritto sul titolo di credito, o sulla copia o sul c.d. foglio di allungamento.
Nel verbale di protesto si deve dare atto della presentazione del titolo, dell’invito al debitore dell’accettazione o al pagamento e delle motivazioni addotte a sostegno del rifiuto all’invito.
Il contenuto è previsto dalla legge (art. 71 l. camb. e art. 63 ass. nonché art. 4. II° comma L. 349/73) ovvero:
– data, giorno mese ed anno in cui è effettuata la richiesta del pagamento al fine di attestarne la tempestività rispetto ai termini prescritti
– nome del soggetto (persona fisica o giuridica) ad istanza del quale il protesto è levato
– l’indicazione dei luoghi in cui è fatto e la menzione delle ricerche svolte
– l’oggetto delle richieste di accettazione o pagamento del titolo
– la corretta indicazione delle persone destinatarie del protesto
– le risposte eventualmente ricevute dal debitore
– la sottoscrizione del pubblico ufficiale che ha redatto il protesto
Le attestazioni in esso contenute hanno l’efficacia probatoria degli atti pubblici (ex art. 2700 c.c.) relativamente alle attività compiute dal pubblico ufficiale e ai fatti avvenuti alla sua presenza.
Pertanto, se si vuole contestare la veridicità, è necessario che l’interessato promuova querela di falso, mentre la mancanza di uno di questi elementi essenziali determina la nullità dell’atto di protesto laddove emerga incertezza sul contenuto medesimo, non altrimenti integrabile.
Le causali relativamente al rifiuto di pagamento degli assegni bancari e dei vaglia cambiari possono essere indicate sinteticamente nelle seguenti :1) mancanza di autorizzazione, nei casi in cui l’autorizzazione all’emissione di assegni sia stata ritirata o non sia mai esistita; 2) difetto di provvista, per la mancanza in tutto o in parte dei relativi fondi presso il trattario; 3) irregolarità dell’assegno per i rimanenti casi non rientranti negli altri due menzionati.
Termini per il protesto
La legge prevede dei termini entro cui può essere levato il protesto, anche al fine di esercitare l’azione di regresso.
In particolare, per la cambiale a vista, ai sensi dell’art. 51 l.camb. il protesto va effettuato entro un anno dalla data di emissione ovvero entro il diverso termine, anche più lungo, stabilito dal traente o entro quello più breve fissato da un girante; mentre per la cambiale a data certa va effettuato entro i due giorni feriali successivi al giorno in cui la cambiale è pagabile (art. 51 3° c. l. camb.)
Per gli assegni, invece, il protesto potrà essere richiesto solo se l’assegno è presentato entro i termini previsti per la tempestiva presentazione del titolo ex art. 32 l. ass. ovvero 8 giorni dalla emissione, se il Comune dove è stato emesso l’assegno coincide con quello in cui ha sede la Banca dove lo stesso titolo è tratto; 15 giorni dalla data di emissione indicata sul titolo se l’assegno è pagabile in un Comune differente da quello di emissione.
Il protesto illegittimo
Si definisce illegittimo il protesto levato fuori dai casi consentiti dalla legge o senza l’osservanza delle norme da questa previste.
E’ invece, erroneo quel protesto che, pur consentito su un piano strettamente cartolare, sia in contrasto con gli accordi intercorsi tra le parti o sia conseguenza di una condotta negligente da parte dell’ufficiale procedente.
Andando nel dettaglio, nel caso di assegno bancario, affinché possa essere qualificato come legittimo, presuppone non soltanto il rifiuto dell’azienda di credito, ma anche la stessa legittimità di tale rifiuto conseguente all’effettiva inesistenza di fondi (oppure equivalente ragione giustificatrice), pertanto il difetto di tale presupposto implica l’illegittimità del protesto che, senza l’ingiustificato rifiuto non sarebbe stato levato.
L’istituto di credito riveste un ruolo importante nella rilevazione delle circostanze formali e sostanziali sottese alla levata del protesto e, pertanto, è tenuta ad osservare le scrupolose ed accurate regole di condotta strettamente connesse all’attività svolta ex art. 1176 II° comma c.c.
La banca colpevole di illecito protesto è soggetta a responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, poiché da un lato è soggetta all’osservanza dei doveri di diligenza e dall’altro non può violare i diritti personalissimi del danneggiato quali il diritto all’immagine ed alla reputazione.
Il danno da lesione dell’immagine sociale della persona che si vede ingiustamente indicata come insolvente.
E’ chiaro che un protesto illegittimamente levato costituisce per il soggetto protestato fonte di danno risarcibile ( inizialmente ex art. 2043 c.c. ora ex art. 2059 c.c. alla luce della lettura costituzionalmente orientata di tale articolo) per il discredito personale ed economico-professionale, derivante al soggetto per la pubblicazione di un protesto non dovuto.
La giurisprudenza dominante segue le posizioni:
Cassazione civile sez. I, 31/10/2017, n.25872
Illegittimo protesto di assegno: ai fini del risarcimento del danno occorre provare, anche con presunzioni semplici, l’esistenza e l’entità del pregiudizio In tema di risarcimento del danno da illegittimo protesto di assegno bancario, la semplice illegittimità del protesto (anche ove accertata), pur costituendo un indizio in ordine alla esistenza di un danno alla reputazione, da valutare nelle sue diverse articolazioni, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando tuttavia l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio.
Ed ancora Cassazione civile sez. III, 06/12/2018, n.31537
In tema di responsabilità civile derivante da pregiudizio all’onore ed alla reputazione, il danno risarcibile non è “in re ipsa” e va pertanto individuato, non nella lesione del diritto inviolabile, ma nelle conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base, non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno derivante dall’illegittimo protesto di un assegno sulla base dell’astratta affermazione che tale illecito avrebbe potuto “verosimilmente” pregiudicare la stima e la reputazione di cui gli attori godevano, senza precisare quale fosse tale stima, in quali ambienti fosse goduta e se in essi si fosse propagata la notizia del protesto).
L’ordinanza-ingiunzione
L’emissione di assegni senza autorizzazione e senza provvista (a vuoto) sono illeciti amministrativi che vengono puniti con sanzioni pecuniarie e accessorie.
L’ordinanza–ingiunzione è un atto della pubblica amministrazione con il quale si notifica al soggetto il tipo di violazione e l’ammontare di una sanzione pecuniaria per la stessa prevista.
Il termine per l’opposizione è di 30 giorni dalla notificazione dell’ordinanza–ingiunzione (60 giorni se l’interessato risiede all’estero).
Recentemente il nostro studio ha risolto per una nostra assistita un caso di illegittimità del protesto in quanto non era stato revocato/chiuso il conto corrente della ricorrente né era stata tolta l’ autorizzazione del trattario.
E’ bene evidenziare, infatti, che l’istituto di credito trattario, per legge (vedi art. 9 lg. 15/12/90 n. 386), e comunque secondo costante giurisprudenza (per tutte si veda Cass. Pen., sez. V, 24 giugno 1999, n. 9951), ha l’obbligo di comunicare al correntista, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, la revoca dell’autorizzazione ad emettere titoli.
Il Giudice di Pace di Messina con la sentenza 359/19 ha dato noi ragione affermando che “ l’assenza di consapevolezza del difetto di autorizzazione ad emettere assegni da parte della ricorrente determina, nella fattispecie, il venir meno dell’elemento psicologico”, annullando così il provvedimento emesso dal Prefetto di Messina.